esercizio 1

l’INFINITO embodied

L’esercizio si presenta suddiviso in tre parti. La prima consiste nell’analisi dell’infinito di Friedrich Nietzsche, a partire da una citazione di Umberto Bottazzini [Infinito, il Mulino 2028, p. 9] relativa all’Aforisma 124 de La gaia scienza. La seconda parte nasce su richiamo della prima, con L’infinito di Giacomo Leopardi. Qui si tenta il confronto tra i significati attribuiti, meglio dire vissuti, circa l’infinito dai due, poeti e filosofi, seguendo un mio personale criterio. A chiusura, la terza parte mostra la possibilità di una costruzione poetica libera, seguendo una poesia già data, in questo caso assumendo come modello L’infinito di Leopardi.

parte prima_l’infinito in friedrich nietzsche

Per inciso, l’elaborato nasce dopo aver visto una mostra di dipinti al Museo MACRO di Via Nizza, luglio 2019, e la lettura, in un depliant, di una frase di Mark Rothko: «Hai tristezza in te, ho tristezza in me – e le mie opere d’arte sono luoghi in cui le due tristezze si possono incontrare, per questo entrambi dobbiamo sentirci meno tristi». Frase che porta la mia partecipazione a pensare e immaginare la disposizione sottostante

l’opera d’arte … l’emozione dell’artista                               il fruitore … la sua capacità di partecipazione emotiva-cognitiva

inducono una emozione risultante che nasce lì … (percezione-emozione-pensiero, interazione attivata da stimoli percettivi)

In successione rivado al libro di Umberto Bottazzini, Infinito, da poco in casa, e mi soffermo sull’introduzione Nell’orizzonte dell’infinito, Aforisma 124, da La gaia scienza di Friedrich Nietzsche:

«Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito.»

Consideriamo il concetto di infinito evidenziando e sottolineando alcune parole scelte da Nietzsche:

«Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito

Spontanea in me la trasformazione del testo di Nietzsche nella ormai usuale scritturainversi. La spinta viene dal bisogno di chiarire la definizione di infinito. Se non in chiaro, porre in maggior risalto le caratteristiche esclusive di ciò che connota l’infinito ricorrendo alle emozioni dichiarate e deducibili.

Nota _ ho usato a lungo i trattini separatori nella scritturainversi, nel tempo sono caduti, a favore dello spazio bianco. Intervalli di silenzio con necessità funzionali diverse ai fini della comprensione del testo.

L’infinità è spaventevole, come spaventevole è l’oceano quando muggisce. Lo spaventevole, l’emozione vissuta con i relativi correlati corporei, accompagna lo spavento e ci guida nella comprensione diffusa, generale del concetto di infinito.
Non contenta, distendo i miei versi, tra parentesi aggiungo due minime variazioni, solo per me, forse utili per chiarire ancora di più? Uno strano gioco per trovare ciò che lì c’è, o che io tendo a voler fare comparire? Il mestiere del traduttore deve essere molto difficile. Per le poesie soprattutto, non a caso ci si sente più sicuri con il testo originale a fronte, anche non conoscendo o mal conoscendo, la lingua originaria. Risultato:

lasciato terra _ saliti sulla nave _ i ponti alle spalle _ le terre dileguate _ guarda te avanti _ navicella umana_ l’oceano (quando) muggisce _ talvolta si rabbona _ distesa di seta oro e bontà _ ma _ ma tempo verrà _ in cui saprai _ che è infinito _ ( niente di più ) spaventevole _ come soltanto è _ l’infinità _

E, quasi fossi arrivata al cuore di ciò che per il filosofo-poeta era l’infinito, scrivo:

L’oceano che muggisce è l’infinito, è lo spaventevole, come soltanto lo é l’infinità, ciò che non è misurabile. L’oceano e l’infinito possono essere messi in analogia poiché entrambi sentiti-considerati senza misura, condizione prima. L’oceano è adatto a tale funzione solo quando muggisce (condizione seconda per l’oceano, secondo Nietzsche). Allora scatenano la stessa emozione: lo spaventevole. Un vissuto psico-fisico, corporeo. In tale modo l’infinito (che nulla ci direbbe di sé in termini esperienziali diretti, essendo non rappresentabile, non immaginabile secondo il sentire pensare comune) è la non misura-l’immisurabile (inconoscibile?), che provoca uno stato angoscioso (la morte?).
Lo stato emotivo corrisponde a ciò che Nietzsche definisce lo spaventevole facendolo coincidere con l’infinità. L’angoscia-emozione per ciò che in noi si presenta come spaventevole è una emozione esperibile in presenza dell’oceano che muggisce, riconoscibile da tutti, alla portata di tutti, attraverso elaborazioni di percezioni sensoriali, poi emozioni, che si traducono in concetti anche verbalizzabili.
Con tale messa in analogia il concetto astratto di infinito accede all’ordine del concreto, lo stesso a cui appartiene l’oceano quando muggisce e allora diventa spaventevole, una sensazione esperibile, condivisibile, intra e inter-comunicabile.

a) oceano che muggisce
b) concetto di infinito
c) lo spaventevole (emozione condivisa –ponte-per entrambi)

Riassumendo e ripetendo, in Friedrich Nietzsche l’infinito, analogo all’oceano quando muggisce, è il massimo dello spaventevole ed è tale emozione esperibile dall’uomo che consente la messa in relazione (fare ponte) dei due concetti, rendendo il concetto astratto di infinito accessibile all’uomo.
A sostegno della presunta potenzialità del linguaggio poetico, da noi detto anche scrivereinversi, aggiungiamo che tale esercizio può facilitare l’osservazione del percorso delle emozioni. I versi di Nietzsche, modificati attraverso lo scrivereinversi, hanno reso più agevole la messa in evidenza del significato di infinito. La capacità di sintesi del linguaggio poetico, pur costruito secondo stili diversi, pone in risalto i concetti e le caratteristiche chiave del discorso.
Il linguaggio poetico porta un’accentuazione dell’attività psico-sensoriale-emotiva che coinvolge, organizza e guida la mente. Mente che consideriamo secondo l’approccio embodied delle neuroscienze cognitive. La rilevante presenza di immagini, analogie e metafore facilita e stimola molteplici rielaborazioni e costruzioni personali anche nell’attribuzione dei significati. Tali proprietà potrebbero evidenziare che la scritturainversi è in grado di favorire la creatività rappresentazionale in senso lato di ognuno. Creatività utilizzabile ed estensibile in ogni altro campo del pensiero e dell’espressione di Sé, attraverso i più diversi linguaggi, artistici e non strettamente o usualmente definiti artistici, ma pur sempre portatori e necessitanti capacità innovative e creative.

Appendice

All’inizio di questa ‘parte prima’ avevo ricostruito la genesi di questo scritto, tralasciando uno scritto nato e ‘fatto’ camminando nel tragitto tra il MACRO e casa, prima dell’esercizio 1. Il pensiero era in fase attiva e chiedeva il ricorso alla scrittura per non dare spazio all’implosione, sparizione in mancanza di una lavagna, di un supporto che fissi, mostri, ritrovi i passaggi. O semplicemente non si arresti. Così potrebbe inserirsi la necessità dell’uomo di costruire e disporre di segni-simboli stabili da trasferire su adatti supporti. Oggi i supporti sono ben lontani da pareti rupestri, tronchi d’albero, pietre, etc. Pensiero e strumenti di appoggio per lo sviluppo della mente, non solo per la conservazione in senso stretto. Si apre il mondo della ricerca, delle tante domande sugli strumenti disponibili attualmente. Chi, come avere accesso? A quali livelli si possono usare? Domande aperte, all’infinito? Forse. Ma da me almeno non inteso come ‘spaventevole’, pur sapendo che il cammino, già per molti possibile, mi è inevitabilmente precluso. Esclusione? Ancora inclusa nell’oggi? Quante e quali le morti da noi temute, riconosciute, accolte o rifiutate? Le tante guerre per avanzare, rallentare, sostare, arretrare? E da chi potrebbe o non potrebbe dipendere la gestione del processo evolutivo naturale-culturale umano?
Per concludere, riporto lo scritto così come è nato per strada, carta e penna mai mancanti, e ricopiato appena giunta a casa.
Mi accorgo ora che appare una discordanza tra l’aver detto di avere costruito tutto dopo la visione della frase di Rothko e lo scritto, che chiamerò ‘camminando’, in cui già compare il tribolo sull’infinito.
In realtà il libro di Bottazzini con la scritta di Nietzsche era già presente da alcuni giorni sulla mia scrivania, appena arrivato. Debbo pensare che l’emozione intensa di quel giorno abbia portato ponti tra pre-pensieri, emozioni precedenti e del momento.

Camminando

Infinito: un’entità così grande da superare ogni costruzione-traduzione percettiva riguardante la numerosità, la numerabilità ___ extra numerosità ___ tutte le entità che rientrano in tale categoria possono essere omologate dal segno-concetto di ∞ ___ perciò ogni calcolo risolvibile con l’assunzione di tale segno è considerato accettabile-accettato ___ l’uomo può erodere pezzetti di infinito, mai tutto, ne siamo certi? per definizione? ___ potremmo immaginare strumenti di IA [intelligenza artificiale] che ci consentano… che cosa? se noi restiamo indispensabili in tale costruzione? ___ e se riuscissimo a costruire strumenti di IA capaci di operare in proprio, essi potrebbero giungere a quantizzare l’∞? ___ ma a quel punto l’infinito sarebbe ancora il segno infinito che caratterizza la percezione psico-biologica-corporea che ci definisce ora, prima dell’IA capace di … ? ___ oppure, diventati dei-creatori (?) avremmo dato vita (?!) a una ‘specie’ (?!) altra dalla nostra? ___ a quel punto potremmo pensare al suo posto senza incorrere in contraddizione logica? io stessa, in questo cammino mi sto basando sulla mia percezione umana ___ percezione così come la rappresentiamo attraverso le conoscenze innate e acquisite ___ ma il corpo potrebbe percepire dei ‘non corpi’ senza farli rientrare nella categoria del ‘tutto sconosciuto’? se non lo conosciamo? ___ al limite o al di là del percepibile, non percepito quindi ___ quindi il mio parlare si affloscia, implode in se stesso, e diventa un non sapere più di ciò di cui io sto parlando ___ parlando da una ipotetica me, che nulla o poco o solo in parte ha dell’umanità in me presente? sarebbe ancora un parlare figlio dei processi del pensare a noi noto? ___ forse debbo fermarmi qui ___ per impossibilità intrinseche, personali, non d’obbligo ___ e questo è accettabile, ‘vero’ ___ intendendo il ‘vero’ tutto ciò che da noi è considerato conosciuto? e dimostrabile ___ o ‘vero’ perché credibile con atto di fede? ___ qualunque sia la ragione con cui tale lo definiamo? ma la fede è nell’ambito dell’umano oppure? ___ per cui la fede è nell’extra umano ___ nel regno dell’infinito non conoscibile? fuori da quell’umano limite a cui con tratto di fiducia, in chi lo possiede, e pensa di sapersi, potersi abbandonare a un non conosciuto inconoscibile, a cui abbiamo dato nome dio, nella cultura nostra, rendendolo omologo al concetto di infinito, ∞ fuori da noi, dall’umanità nostra? ___ quindi per noi, figli della cultura nostra, dio e l’infinito potrebbero essere inclusi pariteticamente nelle equazioni che lo contemplano e che utilizziamo per risolvere un certo numero di problemi compatibile con tale concetto _ finché?! altre specie avranno altre, altri, altro: altro da ciò che non possiamo pensare anche se dicendo ‘altro’ corriamo il rischio di confondere l’umano dal non umano, l’al di fuori da lui/noi conoscibile e non pensabile nemmeno dicendo ‘altro’ ___

Nota
Dove collocare un simile testo? Se non in una scrittura che poco tende a rispettare le regole e competenze necessarie nella comunicazione usuale? Un puro contenimento emotivo? Potrebbe essere …? E cosa significa tale processo?

parte seconda_l’infinito in giacomo leopardi e confronto con l’infinito di nietzsche

Nell’analisi dedicata all’Aforisma 124 di Friedrich Nietzsche abbiamo cercato di scandagliare il concetto di infinito attraverso l’analisi delle tracce di sensazioni-emozioni-pensiero emergenti nell’intero tema. Tali tracce hanno evidenziato le analogie utilizzate: l’infinito analogo all’oceano che muggisce; poi l’attribuzione di senso-significato al concetto di infinito, che, sempre per Nietzsche, è lo spaventevole in sé. Al centro abbiamo collocato l’emozione collegata a e collegante lo spaventevole.

Nel presente scritto, inerente a L’infinito di Giacomo Leopardi, useremo lo stesso approccio, senza alcuna ricostruzione del testo poetico, costruendo successivamente la parafrasi, con qualche elemento di versione in prosa. Seguiremo le tracce delle sensazioni-emozioni-pensiero in cui il poeta, secondo la nostra interpretazione, è immerso e s’immerge, gli stati psicofisici corrispondenti, le emozioni e il senso in cui appare il concetto di infinito.

L’intero percorso, a nostro avviso, può evidenziare come le componenti segnalate quali sensazioni-percezioni-emozioni possano influire sulla qualità del pensiero e dell’insieme nella donazione di senso ai concetti presenti in qualsiasi scritto. Il processo complessivo rivela soprattutto l’incisività e produttività della struttura poetica, che unisce sensazioni-emozioni-significati, per orientarci verso il significato più pertinente.



Parafrasi

Sempre caro mi fu questo colle solitario
e questa siepe, che esclude il mio sguardo
da tutto ciò che va fino all’estremo orizzonte.
Ma sedendo qui e tendendo lo sguardo
agli spazi sterminati al di là della siepe,
e agli oltre umani silenzi, e alla profondissima quiete
io con il pensiero immagino; così intensamente che per poco
il cuore non si spaventa. E appena il vento
odo stormire tra queste piante, paragono quell’
infinito silenzio a questa voce (lo stormire): e mi compare l’eternità (percepita, essendo Dio l’eterno, meno estranea dell’infinito tout court, più vicina al tempo-pensiero dell’uomo),
e le finite stagioni (il passato), e quella presente
e viva (un tempo vivo per il poeta), e il suono di lei (voce dello stormire _ che è un rumore_ soltanto?). Così in questa
immensità ( eternità_infinito-infinità) il mio pensiero si abbandona (si lascia-rilassa andare):
e dolce diventa il naufragare (l’abbandonarsi) in questo mare.

Due i diversi stati del pensiero che compaiono pensando (sentendo) l’infinito: nel primo tempo-stato avanza l’angoscia, nel secondo si fa strada l’abbandono dolce. La svolta, per il cambio di stato psico-fisico, è consentita dall’aggrapparsi a una sensazione-stimolo che riporta alla realtà. È l’udire il vento-stormire-voce che evoca la voce di lei (la lei dell’abbandono primo), due stimoli concreti, uno presente, l’altro in memoria, sensoriale prima di diventare pensata, attribuita a qualcuno, a uno stato vissuto. Questo secondo stato percettivo-sensoriale-emotivo introduce il pensiero dell’eternità, immensità, concetto che appare meno estremo de l’infinito, che invece è inteso separato, sconosciuto all’uomo. Prima un perdersi nell’angoscia, dopo un abbandonarsi a un dolce mare.


Commento per Giacomo Leopardi

Che succede al poeta, a Giacomo Leopardi, in questi perdimenti avvicinando il concetto di infinito? Nelle due parti della poesia emergono caratteristiche diverse, tali da farci intravedere livelli di pensiero differenti.

Come anticipato, useremo l’approccio presentato nell’analisi dello stesso tema in Nietzsche, seguiremo le sensazioni-emozioni-pensiero in cui il poeta s’immerge, risalendo agli stati psicofisici corrispondenti che influiscono sulla qualità del pensiero. E viceversa. Nella prima parte Leopardi, seduto in un luogo amato, in parte impedito da una siepe nel godere una visione di spazi interminati, stimolato da tale desiderio-pensiero s’immerge in un intenso immaginare tanta estensione, senza limiti. L’intensità-potenza del pensiero mobilitato, coinvolto nella percezione dei silenzi sovrumani (infiniti, fuori dalla portata umana) e nella profondissima, immensa quiete intorno (priva quasi di ogni stimolo sensibile), è così alta che ‘per poco il cor non si spaura’, il pensiero stesso cade nell’angoscia. Uno stato psicofisico a rischio, fuori controllo, in confusione, che lo costringe-porta a trovare sponda-appoggio-ritorno alla realtà tramite la voce del vento che può udire (lo stormire tra le piante). È in questa ricomposizione percettiva sensoriale e di pensiero, uno stato psico-fisico-emotivo-cognitivo più attivo consapevolmente, che recupera il controllo di sé. Ora la voce di prima, vento-stormire, può reindirizzare il pensiero alla vastità, che non sarà più l’infinito di prima (al livello di estremizzazione del pensare-immaginare precedente, tanto da perdersi), ma un infinito-eternità. L’eternità per noi umani pensanti, soprattutto se credenti, ma anche figli di una cultura-natura credente, potrebbe corrispondere a un infinito più umanizzato, prossimo all’eternità includente il padre-eterno, meno incognito, sconosciuto, meno non pensabile. Un’eternità accompagnata da una presenza protettiva, un tempo-eternità protetto. Così da tale tempo eterno del divino, che è pensato dall’uomo, a volte antropomorfizzato, si entra nel tempo scandito dell’uomo, al passato, le finite stagioni, e al presente, l’hic et nunc. Presente buono in quel ‘tempo-fase’ del poeta, in cui può comparire la voce di una ‘lei’, l’amata (?). Ecco compiersi il passaggio ‘felice’ dalla voce-stormire delle piante a questa voce-suono tanto gradito che ritorna lo stato-gioco dell’abbandono, adesso diventato un lasciarsi andare sapendo, volendo. La voce, il suono di lei, Lei è una presenza-persona, donna, amata, madre, corpo, senza di cui non esisteremmo. È la donna, corpo primo, da cui nasciamo. Il corpo per antonomasia: quello materno delle origini, dell’origine umana, la grande madre, il femminile (sia per l’uomo che per la donna). In questo stato psicofisico-emotivo-cognitivo, il poeta può-desidera abbandonarsi, può allentare il livello attivo del pensiero, immergersi in percezioni-sensazioni-emozioni accoglienti, consentire al pensiero di situarsi sullo sfondo, tanto gli è dolce, gradito abbandonarsi in simile ‘mare’, sostanza acquorea amniotica, in completa beatitudine.

Proviamo a immaginare, guardare l’addormentamento dei bambini, degli infanti, tra le braccia della madre, nutrice prima, fonte di vita. O l’abbandono tra le braccia degli ‘amanti’, potremmo anche pensare e dire. Ma la memoria-presenza materna, pur a livello inconsapevole di memorie primarie sensoriali, non ci lascerà mai, maschi o femmine che ci si ritrovi a essere, diventare. Questa associazione benefica (pur con memorie differenti, nelle diverse storie) ci accompagnerà sempre,  con influenze sensibili diverse nello sviluppo psicofisico-emotivo-cognitivo della persona.

Confronto del concetto di Infinito in Nietzsche e in Leopardi

Nel canto di Leopardi nella prima parte l’infinito diventa analogo a l’oceano che muggisce, che rappresenta l’infinito di Nietzsche, per questi un solo infinito, lo spaventevole. Successivamente in Leopardi, l’accostamento tra l’infinito primo e l’infinito-eternità introduce una differenziazione, seppur sottile. Questa compare quando, per uscire dall’angoscia-perdersi, il poeta rivela uno spostamento-agganciarsi dell’attenzione a stimoli diversi: vento-stormire-voce. Qui, a nostro parere, viene introdotto un passaggio tra due stati-livelli di pensiero diversi. Due stati psicofisico-emotivo-cognitivo diversi, che fanno slittare dal concetto di infinito nietzschiano, lo spaventevole, a una definizione di infinito-eternità. Stato-tempo coincidente comunque con un essere ‘sempre’, senza fine, infinito, ma collegato all’Eternità, che è, nella nostra cultura, del padre-eterno, un sub-infinito (?), o un infinito-eternità-immensità protetta, più comprensibile, a noi più prossima, pensabile.

In Nietzsche è l’oceano che può essere vissuto con due stati d’animo diversi, mostrarsi o/o, ma solo quello che muggisce è l’infinito, lo spaventevole, quindi uno solo. Infatti per Nietzsche, l’infinito è lo spaventevole.

In Leopardi abbiamo un’elaborazione più articolata dell’infinito, e dei suoi stessi stati d’animo. Un lasciarsi, perdersi, ritrovarsi, ma sempre con una sorveglianza-abbandono tra il vigile, quasi-vigile, rischio di inabissarsi, o abbandonarsi alla beatitudine. Non più in là.

Nota

La parola infinito porta al grande senza misura, ma il non misurabile è fuori della nostra portata, del considerato conoscibile, sconosciuto ai nostri sensi, immaginazione, pensiero. Quale emozione se non quella per lo sconosciuto, l’inconoscibile resta in campo? Non rientrante nella valutazione dei nostri sensi per essere collocato nel bene o male, pro o contro. Resta o diventa massimamente pericoloso. Quale immagine, fenomeno, evento che ci avvicini a un limite oltre il quale c’è lo sconosciuto massimo? La morte. Così l’infinito diventa spaventevole in quanto sconosciuto, come o dove ciò che la morte porta, è. L’emozione più prossima al concetto di infinito diventa quella per l’ignoto, spaventevole come l’oceano che in tempesta ‘muggisce’, minacciandoci, esponendoci al pericolo di morte. Così per Nietzsche? E soltanto per Nietzsche?

parte terza_l’infinito personale ispirandosi a una poesia data costruire una poesia personale

poesia di riferimento: L’infinito di Giacomo Leopardi

poesia di ognuno