Momotaro

Fiaba Giapponese

Dove un bambino nato da una pesca con la gentilezza compie una grandissima impresa.

C’era un tempo in cui le fate non erano così timide come lo sono adesso. 
Era l’epoca in cui le bestie parlavano agli uomini, quando c’erano incantesimi e magia ogni giorno, quando c’era una grande riserva di tesori nascosti da scavare e avventure da vivere. 
A quel tempo un vecchio taglialegna e sua moglie vivevano da soli; erano buoni ma poveri, e non avevano figli.
Un bel giorno la vecchia disse: «Che cosa farai stamattina, caro marito?».
«Oh» disse il vecchio «me ne andrò nella montagna con la roncola a raccogliere una fascina di legna per il nostro fuoco. E tu cosa farai, cara moglie?».
«Oh» disse la vecchia «andrò al fiume a lavare i panni. È il giorno del bucato» aggiunse.
Così il vecchio se ne andò sulle montagne, mentre la moglie si diresse al torrente.
Mentre lavava i panni, vide una bella pesca matura che le si avvicinava fluttuando lungo la corrente del fiume. La pesca era piuttosto grande, e di un rosso rosato su entrambi i lati.
«Sono fortunata questa mattina» disse la signora, e tirò la pesca a riva con un bastone di bambù spaccato.
Calata la sera, quando il brav’uomo tornò a casa dalle colline, gli mise davanti la pesca. 
«Mangia, caro marito» gli disse. «Questa è una pesca fortunata che ho trovato nel ruscello e ho portato a casa per te».
Ma mentre il vecchio stava prendendo il coltello per tagliarla, all’improvviso la pesca si spezzò in due: al suo interno non c’era un nocciolo, ma un piccolo e bellissimo bambino.
«Santo cielo!» disse la vecchia.
«Santo cielo!» disse il vecchio.
Il bambino mangiò prima metà della pesca e poi l’altra metà – e questo lo fece diventare ancora più snello e forzuto. 
«Momotaro! Momotaro!» gridò il vecchio. «Il figlio maggiore della pesca».
«È la verità» disse la vecchia. «È nato proprio dentro una pesca».
Entrambi si presero così tanta cura di Momotaro che ben presto divenne il ragazzo più robusto e coraggioso di tutte quelle terre. Lo adottarono come un figlio, e lo crebbero al meglio delle loro possibilità. Tutti i vicini volevano bene a Momotaro e pensavano fosse davvero un bravo ragazzo.
«Mamma» un giorno Momotaro disse alla vecchia «preparami per favore una buona scorta di kimi-dango» (così vengono chiamate le polpettine di miglio da quelle parti).
«Come mai vuoi dei kimi-dango?» chiese la madre.
«Perché» rispose Momotaro «sto partendo per un viaggio, o meglio, un’avventura, e avrò bisogno dei kimi-dango lungo il cammino».
«E dove stai andando, Momotaro?» disse la madre.
«Voglio andare all’isola degli orchi» disse Momotaro «a prendere il loro tesoro, e ti sarei grato se mi permettessi di partire con i kimi-dango il prima possibile».
Così gli preparò i kimi-dango; lui li mise in una pezza di stoffa e si legò la pezza alla cintura.
«Sayonara, e buona fortuna a te, Momotaro!» gridarono il vecchio e la vecchia.
«Sayonara! Sayonara!» gridò Momotaro.
Non aveva ancora percorso molta strada quando si imbatté in una scimmia.
«Ugh, ugh» disse la scimmia. «Dove vai, Momotaro?».
Momotaro rispose: «Vado all’isola degli orchi, per un’avventura».
«Cosa hai nella pezza appesa alla cintura?».
«Ho alcune delle migliori polpettine di miglio di tutto il Giappone».
«Dammene una» disse la scimmia «e verrò con te».
Così Momotaro diede un dango alla scimmia, e proseguirono insieme. 
Non fecero molta strada quando si imbatterono in un fagiano.
«Glu! Glu!» disse il fagiano. «Dove vai, Momotaro?».
Momotaro rispose: «Vado all’isola degli orchi, per un’avventura».
«Cosa hai nella pezza appesa alla cintura?».
«Ho alcune delle migliori polpettine di miglio di tutto il Giappone».
«Dammene una» disse il fagiano «e verrò con te».
Così Momotaro diede un dango al fagiano, e proseguirono insieme. 
Non fecero molta strada quando si imbatterono in un cane.
«Bau, bau» disse il cane. «Dove vai, Momotaro?».
Momotaro rispose: «Vado all’isola degli orchi, per un’avventura».
«Cosa hai nella pezza appesa alla cintura?».
«Ho alcune delle migliori polpettine di miglio di tutto il Giappone».
«Dammene una» disse il cane «e verrò con te».
Così Momotaro diede un dango al cane e tutti e quattro proseguirono insieme. 
Di lì a poco arrivarono all’isola degli orchi.
«Ora, fratelli» disse Momotaro «ascoltate il mio piano. Il fagiano deve sorvolare il cancello del castello e beccare gli orchi. La scimmia deve scavalcare le mura del castello e pizzicarli, mentre io e il cane romperemo i chiavistelli e le sbarre. Lui morderà gli orchi e io li combatterò».
Poi ci fu la grande battaglia.
Il fagiano volò oltre il cancello del castello: «Glu!…».
Momotaro ruppe i chiavistelli e le sbarre e il cane balzò  nel cortile del castello. «Bau! Bau! Bau!».
I coraggiosi compagni combatterono fino al tramonto e sconfissero gli orchi, prendendoli prigionieri.
«Ora, fratelli» disse Momotaro «portate fuori il tesoro degli orchi».
E così fecero.
Il tesoro era molto prezioso. C’erano gioielli magici, e cappelli e cappotti che rendevano invisibili. C’erano oro e argento, giada e corallo, ambra e gusci di tartaruga e madreperla.
«Qui ci sono ricchezze per tutti» disse Momotaro. «Scegliete, fratelli, e prendetene quanto volete».
«Ugh, ugh» disse la scimmia. «Grazie, Momotaro».
«Glu!…» disse il fagiano. «Grazie, Momotaro».
«Bau! Bau! Bau!» disse il cane. «Grazie, Momotaro».
Momotaro poi tornò a casa con tutto il resto delle ricchezze, e mantenne i suoi genitori adottivi in pace e abbondanza per il resto delle loro vite.

 

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