Il pescatore e la giara dello zar

Fiaba Bulgara

In cui un pescatore salvando un pesciolino pieno di furbizie scopre un antico segreto.

C’era una volta un pescatore che viveva in una capanna di paglia in riva al mare, con la moglie e due figlie. 

Oltre alla casa, possedeva solo una vecchia rete, con la quale pescava tutto il giorno camminando su e giù sulla sabbia in riva al mare.

A fine giornata passava per il villaggio per vendere al mercato il pesce che aveva pescato durante il giorno, e rincasava alla sera coi soldi guadagnati. Le figlie erano molto grate e non si arrabbiavano col padre se talvolta tornava a casa a mani vuote.

Una mattina prese la rete da pesca che le figlie avevano ricucito per lui e si diresse in spiaggia.

Arrivato, si rimboccò le maniche e fece il segno della croce.

«Signore, fa’ che oggi la cesta si riempia di pesce. Ieri ho dato le mie scarpe alle figlie, perché le portassero dal calzolaio, a riparare. Se stasera non avrò i soldi, non potrò pagarlo e riprendermi le scarpe».

Detto ciò lanciò la rete, che si aprì in volo, calando come una nuvola sopra al mare.

Quando ebbe raggiunto il fondo, il pescatore la ritirò e dentro trovò un barilotto di legno. Emozionato per la scoperta, sperando di trovarlo pieno di monete d’oro, tirò a riva il barile, lo ripulì, e con somma delusione notò un foro sul fondo. Tutto il suo contenuto era fuoriuscito e il barile si era riempito di sabbia.

Gettò la rete in acqua per la seconda volta, e nel ritrarla notò che era molto più leggera della prima volta. Era infatti vuota, tranne che per un pesciolino con gli occhi verdi e la coda rossa. Il pescatore lo liberò dalla rete e lo buttò nella cesta del pescato.

«Ehi, pescatore!» gridò il pesce. «Perché mi getti in questa cesta asciutta? Non lo sai che ho bisogno di acqua per sopravvivere?».

Il pesce convinse il pescatore a liberarlo, promettendogli che sarebbe arrivato a salvarlo quando avrebbe affrontato “il pericolo più grande”. 

Sulle prime il pescatore fu scettico, e chiese al pesce in che modo avrebbe mai potuto aiutarlo – al che il pesce gli raccontò che una volta, mentre Pietro il Furbo navigava con la sua barca, gli cadde in mare la borsa con le furbizie; il pesciolino allora aveva raggiunto la borsa sul fondo del mare e si era mangiato tutte le furbizie. Da allora la sua testolina era piena d’intelletto.

Il pescatore gettò la rete in acqua per la terza volta, e questa volta quando la ritirò era ancora più pesante della prima.

Trovò infatti una giara di ferro, tenuta chiusa da un tappo anch’esso di ferro, sigillato con cera rossa. Sul sigillo, c’era la scritta Ivan Asen II, zar dei bulgari e dei turchi.

Il pescatore, che era un ottimo conoscitore della storia, fece un salto per la felicità. «Sicuramente» si disse «quel grande zar avrà buttato questa giara in mare ormai settecento anni fa». E con dita tremanti si apprestò a rimuovere la cera.

Quando aprì la giara, accadde una meraviglia che fece tremare i denti al pescatore. Una grande nube nera si propagò dal collo della giara verso il cielo, sempre più in alto, per poi allargarsi e abbracciare il cielo. Alla fine cambiò rotta, e si condenso in una figura solida, enorme, davanti agli occhi del pescatore. Un gigante dagli occhi infuocati e con una bocca grande come una caverna, piena di denti lunghi come lance.

Dapprima la figura si rivolse al pescatore scambiandolo per lo zar. L’altro gli spiegò che erano trascorsi settecento anni, e gli chiese chi fosse. Il gigante si presentò come il diavolo, e raccontò di come fosse finito dentro alla giara.

Raccontò di quando, nel 1195 a Veliko Tarnovo, lo zar Asen Belgun convocò nel suo castello il suo boiaro Ivanko, e insieme a questi s’intrufolò nel castello anche il diavolo. Era con loro nella stanza, alle spalle di Ivanko, quando lo zar accusò Ivanko di tramare coi romei per tradire il proprio popolo.

Di fronte al rifiuto di Ivanko di rinnegare i romei, lo zar chiamò le guardie, chiedendo che gli portassero la sua spada. Il diavolo però con un balzo li anticipò, prese la spada dalla sua teca sulla parete e la porse a Ivanko. Impugnando la spada dello zar, Ivanko uccise Asen Belgun.

Passarono molti anni, finché al trono bulgaro ascese Ivan Asen II, figlio dello zar ucciso, che convocò il diavolo.

Nella sala del trono dorato, ai piedi dello zar giaceva aperta una giara di ferro.

Per cancellare il passato, Ivan Asen offrì un pegno di amicizia al diavolo, il quale accettò. Lo zar allora allungò la mano porgendogli il suo anello quale sigillo del loro accordo. Tuttavia, prima che il diavolo potesse raccoglierlo, l’anello scivolò dalle dita dello zar, e cadde con un rintocco nella giara di ferro.

«Accidenti, come faremo adesso» si chiese lo zar, tentando di recuperare l’anello. «La mia mano è troppo grande, non passa per il collo di questa giara».

Il diavolo allora si fece avanti, e sostenendo di essere in grado di compiere qualunque impresa, si rimpicciolì finché non fu abbastanza piccino da entrare nella giara. Non appena fu al suo interno, Ivan Asen tappò la giara, e mentre la sigillava con la cera condannò il diavolo a rimanervi dentro fino alla fine dei tempi. 

Impartì poi ordini ai suoi soldati, che presero una barca e portarono la giara al largo del Mar Nero, dove la fecero cadere nelle profondità marine.

«Ora che mi hai liberato» disse il diavolo al pescatore «puoi scegliere di che morte morire».

Il pescatore, incredulo e giallo per la paura, implorò pietà e chiese al diavolo perché volesse ucciderlo, dato che era stato proprio lui a liberarlo dalla sua prigionia.

«Le correnti del mare mi hanno portato a riva, è vero, ma ci sono voluti molti anni» spiegò il diavolo. «Sulle prime, avevo urlato: “Se qualcuno mi libererà, gli riempirò la casa di tesori». Ma non ha risposto nessuno. Sono passati duecento anni, al che ho urlato: «Se qualcuno mi libererà, esaudirò per lui tre desideri», ma ancora non ci fu risposta. Trascorsi altri duecento anni, in preda alla collera ho urlato: «Se qualcuno mi libererà, giuro che lo ucciderò. Gli permetterò soltanto di scegliere di che morte morire”. E quindi, ora, fa’ in fretta e scegli».

Il pescatore, in ginocchio e in lacrime, ormai sull’orlo della disperazione, si ricordò del pesciolino che aveva liberato poco prima e, come questi gli aveva insegnato, fischiò tre volte di fila. 

Un’onda si levò, e con la cresta piena di schiuma si rovesciò sulla spiaggia. Al suo ritirarsi, comparve la rossa codina del pesce. Il povero pescatore spiegò l’accaduto, e implorò il pesce di aiutarlo.

«Se egli ha giurato di farlo, è ragionevole che ora debba ucciderti» ragionò il pesce. «Però una cosa non mi convince, di quanto mi hai raccontato. Come faceva un diavolo grande e grosso come lui a stare rinchiuso dentro a una giara così piccola?».

Il pesce non si lasciava convincere e alla fine il diavolo, spazientito, per dimostrare le proprie doti, si rimpicciolì e saltò di nuovo dentro la giara. 

Esortato dal pesciolino, il pescatore rimise il tappo di ferro al suo posto, e martellandolo con un sasso,condannò l’ingrato a restare rinchiuso fino alla fine dei tempi. Quando il diavolo ebbe finito di scalciare, imprecare e agitarsi, il pescatore prese la giara e dalla scogliera più alta gettò in mare il nemico del genere umano.

Tornato sulla spiaggia per ringraziare il pesciolino, sulla sabbia notò risplendere l’anello d’oro dello zar, incastonato di sette pietre preziose.

Portò l’anello al gioielliere più ricco, che lo esaminò con cura – poi lo portò nello stanzino sul retro della bottega per esaminarlo meglio, e al proprio ritorno offrì al pescatore tanto oro da riempirgli la cesta del pescato.

Il pescatore tornò a casa sul suo nuovo carro, pieno di regali per le figlie.

 

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